"Crash" di David Cronenberg

L'ossessione per il corpo e per la sua commistione con la tecnologia, ripresa nella narrativa e nei video cyberpunk, ossessione che attraversa in modo spesso morboso e patologico il lavoro di diversi artisti e fotografi contemporanei, è motivo principale nella ricerca di David Cronenberg, il regista che ha reso esplicita la natura multimediale di Crash, traducendolo in film nel 1996.

Il percorso del cineasta canadese è affine a quello di Ballard per temi trattati e per il modo di affrontarli, seppur con mezzi differenti.

Cronenberg ha esordito nel 1975 con Shivers, film che ha una forte affinità con un altro romanzo di Ballard, Condominium, pubblicato lo stesso anno, tanto da sembrarne una trasposizione che utilizza altri espedienti narrativi.

Per Crash, Cronenberg mette da parte le riflessioni piú viscerali sul corpo umano che altrove aveva usato come metafora proprio del collasso e della compenetrazione di piani tra ciò che è visibile e ciò che non lo è, tra interiorità e realtà oggettiva — si pensi al corpo letteralmente "rivoltato" ne La mosca o alla passione per l'interno dei corpi dei gemelli ginecologi di Dead ringers — e anche per lo slittamento di punti di vista tra l'occhio dell' autore, del critico e dello spettatore.

Nel trasferire il romanzo su schermo si concentra piú sulla spettacolarizzazione di erotismo e morte, il loro appiattimento nella rappresentazione, e sull'auto come veicolo di un appagamento sempre piú irraggiungibile, sempre piú deviato nel campo della sofisticazione.

Il racconto viene letteralmente de–scritto, ciò che nella scrittura è solo evocato, la società dello spettacolo, diventa un tutt'uno nel medium film, che ne fa parte a tutti gli effetti.
La frammentazione può essere realizzata, il montaggio e la resa per mezzo dell'accumulo e della giustapposizione di scene, che poi è ciò che nel film troviamo di veramente "pornografico", possono essere finalmente osservati, così come l'elemento fotografico, i rituali di scontro di auto e corpi, l'atmosfera da spot pubblicitario ottenuta con una fotografia levigata, fredda, a dominante blu, un'atmosfera asettica e disinfettata che rende il contenuto dello spot non raggiungibile, inserendo l'unica vera via di fuga dall'immaterialità della rappresentazione, la chiave per separare finzione e realtà.